Il sisma de L’Aquila nel racconto di Donatella di Pietrantonio
Durante il terremoto c’è un silenzio irreale. Si attende la fine di questa scossa, così come di tutte quelle che l’hanno preceduta. Il 6 aprile 2009 però, alle 3:32 del mattino, la terra ha tremato più a lungo, insieme alle case e alle persone che le abitavano.
Scossa e riassestamento
Bella mia è la storia di alcuni sopravvissuti, ma anche del lutto che li lega gli uni agli altri. Caterina parla in prima persona, ma non ha quasi mai il coraggio di pronunciare il proprio nome. Marco è suo nipote, adolescente che lei non riesce ad amare, comparso sotto il tetto della “casa finta” costruita in fretta ma con più precauzioni. E la nonna, che dedica le sue mattinate in preghiera al cimitero.
La loro è una famiglia ricomposta, che fa di tutto per reggersi in piedi dopo esser stata amputata della donna che è ancora presente nella sua assenza: Olivia, mamma di Marco e gemella di Caterina. Sposata con un uomo che ha scelto un’altra strada e un’altra donna, e che ricompare di tanto in tanto per cercare di ricomporre la frattura nella sua ex famiglia, riconfermando ogni volta la sua impotenza.
Ciò che resta
Il terremoto ha esercitato la sua potenza distruttiva anche sui superstiti. I rapporti tra di loro sono governati da silenzi incolmabili, i corpi si trascinano nella loro magrezza, da quando il cibo è mangiato senza fame. Lorenza, una vicina, ha perso la figlia ancora piccola. Da allora la vita si è quasi spenta anche in lei; i suoi capelli sono crespi come la ciocca che la gemella ha voluto staccare dal corpo di Olivia. Un’altra vicina vaga per i condomini, indovina in ritardo di ciò che è accaduto. Sulle sue labbra c’è una canzone, che prima della scossa era una canzone allegra: L’Aquila bella me, te voglio revete’…
Quattro anni sono passati dal sisma, quando Caterina racconta la sua storia. I ricordi affiorano al presente, non smussati dalle parole che servono a esprimerli, e che nessuno è riuscito a pronunciare. La nonna accusa Roberto per aver abbandonato moglie e figlio, tornati a vivere a L’Aquila dopo il divorzio. Caterina dipinge ceramiche come ha sempre fatto, mentre cerca di crescere il nipote, con il quale a fatica trova una forma di comunicazione. E un giorno nelle sue mani l’argilla prende la forma di una donna, dalla postura sbilanciata in avanti, con un urlo di dolore o di gioia sulla sua bocca aperta. La sua è la prima voce a rompere il silenzio, a dare inizio ad una rielaborazione possibile.
Tra romanzo e testimonianza
Il romanzo di Donatella di Pietrantonio può essere iscritto nella cosiddetta “Letteratura del trauma”. Ma non è una storia vera, un racconto scritto per esorcizzare il dolore. Si tratta piuttosto di una costruzione che vuole esprimere l’evento del terremoto e le sue conseguenze, senza risparmiarsi la retorica delle descrizioni e dei sentimenti. La città compare reale e silenziosa, vi si respira la polvere degli edifici crollati. I luoghi amati ospitano ancora gli indizi delle vite che ad un tratto sono dovute correre al riparo.
Con Bella mia, uscito nel 2014, la scrittrice ha partecipato al Premio Strega e vinto altri due importanti premi. La potenza della narrazione, che affronta una tematica così impegnativa, è capace di immergere il lettore nella desolazione della catastrofe, rendendolo poi testimone della ricomparsa di uno spiraglio di luce. Sebbene il senso della tragedia incomba su buona parte del romanzo, verso la fine ricompare la speranza: in un paio di scarpe nuove, in un cellulare nuovo, in una nuova vita che il ventre distrutto di Lorenza è di nuovo pronto ad accogliere.
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